Quando il fantasy YA ti fa rimpiangere anche i cliché, perché almeno quelli a volte funzionano.


Avevo approcciato la lettura di questo libro con molta fiducia, avevo letto tantissime recensioni positive, ma poi…

Dato che ultimamente ho parlato solo di libri belli, per bilanciare la ruota karmika ho deciso di lanciarmi nella recensione di uno dei libri peggiori che abbia letto nel 2024.

(Sono in ritardo con le recensioni? Sì. Ce lo aspettavamo? Anche.)


La trama (senza spoiler)

Paedyn è un’Ordinaria, cioè una che non ha poteri, ma ha comunque deciso che il crimine è la carriera più adatta a lei. Vive in un regno dove essere senza poteri è una condanna a morte: vieni cacciato, braccato, epurato. Dopo aver vissuto tra i rifiuti, un giorno salva per sbaglio un principe – come tutte noi, no? – e come premio si ritrova iscritta a un torneo mortale. Tipo Hunger Games, ma con meno tensione e più trucco waterproof. Che a saperlo: “grazie, ma no, grazie”.

Ovviamente, mentre combatte per non morire (spoiler: non la fanno morire), trova anche il tempo di farsi venire le farfalle nello stomaco per il principe musone, tormentato, duro e puro, che in realtà è un dolce mochi che nessuno capisce. Il multitasking di Paedyn non ha davvero limiti.


Cosa ho apprezzato

Posso copincollare la voce del deserto? Nulla. Zero. Niente. Nèh.


Cosa non mi è piaciuto

Un frullatore di cliché

“Powerless” è una fanfiction di Hunger Games e Regina Rossa con l’hangover – e già Regina Rossa era brutto forte. Non sarebbe nemmeno un problema se l’autrice avesse provato a farci qualcosa di nuovo, invece ci ha dato il solito “lei è speciale anche se non ha poteri” in un mondo in cui tutti hanno poteri, tranne lei.

L’altro superpotere che manca dal mondo di Powerless è la coerenza narrativa.

Worldbuilding? Un concetto astratto

Il regno di Ilya è tipo una schermata di loading: ci viene detto che esiste, che è spietato, magico, brutale – ma poi ti guardi intorno e c’è il vuoto. I personaggi camminano nella texture non caricata di un videogioco, le regole del Torneo di Epurazione sono così confuse che mi sono chiesta se fossero parte di un reality show con un budget troppo basso.

Il sistema di poteri? Meh.

La struttura politica? Una nuvola di parole.

La logica interna? Dispersa, probabilmente morta nel primo round del torneo. Sapete perché nel mondo reale non si iscrivevano i propri possibili eredi al trono a tornei mortali, solo per dimostrare a tutto il regno chi lo aveva più duro? Perché è un’idea stupida.

La credibilità degli eventi? Non pervenuta. Tra gente che si arrampica su per i camini – dico: hai mai visto la canna fumaria di un camino o ti basi sul fatto che Babbo Natale ci passa? – e branchi di serpenti che accerchiano i nostri eroi – sono serpenti o sono un branco di iene, fammi capire? – non c’è nulla che abbia senso.

Una delle poche cose sensate è il fatto che la propaganda reale dica che gli Ordinari siano contagiosi per gli Eletti e che stare a contatto con loro li faccia perdere i poteri. È vero? Probabilmente no, ma funziona a creare il clima adatto.

Personaggi scritti col pilota automatico

Paedyn è una ladra, ma la sua migliore amica attraversa i muri. Chi delle due pensi sia quella più adatta a rubare? Esatto. E invece no. L’autrice ha deciso che la protagonista doveva fare cose, anche se completamente a caso.

Kai, il principe, ha la profondità emotiva di un fondotinta steso male: sembra dark, ma è solo noioso. E per tutto il tempo non fa che ripetersi: “non merito di essere felice perché sono cattivo” – Che. Noia.

La chimica tra Kai e Paedyn è talmente forzata che sentivo le articolazioni scricchiolare ad ogni scena di tensione romantica. “Oh no, ci siamo toccati le mani! È amore!”

Spoiler: non lo è. Vi piacete perché l’autrice ha detto: voi due siete la coppia principale. Fine.

Lo stile di scrittura: illeggibile no, ma ci va vicino

La narrazione è in prima persona alternata, quindi dovremmo entrare nella testa dei personaggi. Peccato che ci entriamo e troviamo un cartello con scritto “torno subito”. È come guardare “Scemo e più scemo”, ma senza la parte divertente.

Le descrizioni sono piatte, i dialoghi sembrano scritti da Lory Del Santo, le scene d’azione sono un’accozzaglia di eventi casuali e poco probabili.

Powerless è una libro che sembra una lunga sinossi, ma senza il fascino della brevità.


Perché dovresti leggerlo

Non dovresti.

Ma se vuoi un ottimo esempio di come non scrivere un romanzo, allora sì, prendilo pure. È un case study perfetto. Oppure leggilo solo se stai facendo il bingo dei cliché YA e ti mancano:

  • Protagonista senza poteri ma imbattibile ✔️
  • Principe tormentato ma bellissimo ✔️
  • Torneo letale ma romantico ✔️
  • Worldbuilding a caso ✔️
  • Plot twist telefonati ✔️

Conclusione

“Powerless – Potere e Inganno” è la prova vivente che una bella copertina può mentire spudoratamente.

Con una protagonista incoerente, una storia d’amore costruita con lo sputo e un mondo che si sfalda non appena provi a guardarlo da vicino, questo libro riesce nell’impresa rara di essere sia noioso che assurdo.

E se il finale ti lascia con la voglia di lanciare il Kindle dalla finestra, non preoccuparti: è una reazione perfettamente normale.

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