La bestia che gridò Apostolo nel cuore del mondo

Dal sottotitolo già sapete quale argomento andrò a toccare. Lo so, lo so, sono in ritardo di secoli – rispetto alle tempistiche del web – ma, a mia discolpa, non avevo fisicamente un computer, e digitare un post così lungo dal cellulare sarebbe stato un suicidio.

Non contesterò, in questa sede, la quantomai discutibile scelta di adottare le parole “Apostolo” o “stato di furia”. Su quell’argomento sono già stati spesi fiumi di parole, veri tsunami di meravigliosi meme e anche qualche live dalla dubbia utilità. Qui voglio solo parlare del (non) adattamento in quanto tale e perché sia un totale, colossale, gargantuesco F A I L.

La spiegazione è semplice: Cannarsi ha deciso, per puro piacere onanistico, di effettuare una traduzione letterale del copione originale propendendo sempre per l’uso di termini desueti e anacronistici che, nel migliore dei casi, sono decontestualizzati – ovvero ad mentuala canis. Non pienamente soddisfatto, però, l’adattamento viene spinto oltre i limiti del lecito, con orrori sintattici – bisogna ammetterlo – di un certo spessore, robe che se le avessi usate io nelle mie traduzioni dal geroglifico per la tesi il mio professore mi avrebbe rincorsa per tutto l’ateneo tentando di decapitarmi con un kopesh poco affilato.

Quindi il problema del (non) adattamento è la discrezionalità con cui Cannarsi ha deliberatamente deciso di ignorare ogni singolo stilema alla base di qualsiasi traduzione: l’opera in sé per sé, le finalità, il messaggio che veicola ed il pubblico a cui tale messaggio è indirizzato. A tutto ciò si aggiunge l’aggravante di un suo preciso autocompiacimento nel giocare da solo a “cinque contro uno, sputa vigliacco” andando ad aberrare la grammatica e la sintassi italiana, con una presunzione di filologicità che vorrebbe far passare per esegetica. Il mio messaggio è breve: vèz, non pigliarci per il culo, sei solo un incompetente di merda. Non c’è da stupirsi se i consensi di pubblico – esigui – che ha ricevuto, provengono da quella parte di spettatori che, come lui, non hanno la minima idea di come cazzo si svolga la trasposizione di un testo da una lingua all’altra – ovvero traduzione e adattamento alla sintassi della lingua di arrivo. Ma esaminiamo i punti cardine.

Il contesto

Ancora prima dei personaggi o della vicenda in esame, il contesto all’interno del quale viene calata la narrazione è quello che va ad indicare, a grandi linee, il tono generale dell’opera. Ed il contesto di NGE non è la Guerra di Troia, niente “Cantami, oh Diva, del Pelide Achille l’ira funesta, che infiniti addusse lutti agli achei…”, non è Dante che si cala nella Selva per svenire ogni tre passi.
Siamo in Giappone, in un distopico futuro post-apocalittico nel quale Tokyo è stata già rasa al suolo almeno due volte, e dove degli adolescenti traumatizzati sono costretti a guidare degli enormi robottoni semi-biologici coi quali creano una connessione neurale che permette loro di farli muovere. Il tutto per abbattere gli Angeli che ogni tanto spawnano a fare casino.
E’ vero che lo scopo finale dell’opera non è “robottoni che menano mostroni”? Certo, per quello Hollywood ci ha regalato Pacific Rim. Ciononostante il contesto è quello.
Conseguentemente perché cazzo dovremmo sorbirci 24 episodi di anime futuristico pieno di gente che, in momenti random, si esprime come ne “Il Giorno” di Parini? Aita, aita, parea dicesse!

I personaggi

Credo che questo sia uno degli aspetti più cringe, partendo dalla pronuncia dei nomi fino alla loro caratterizzazione finale.

In giapponese, come anche in coreano e credo – non sono sicura – anche in cinese, il nome completo viene sempre pronunciato nell’ordine Cognome Nome. Quelli che per anni sono stati Shinji Ikari ed Asuka Soryu Langley, si sono imrovvisamente tramutati in Ikari Shinji e Soryu Langley Asuka. Fin qui la cosa mi disturba in maniera abbastanza relativa, quello che ha davvero smosso i miei nervi è che si sia voluta mantenere la pronuncia giapponese.
Nei nomi di, per esempio, Asuka e Ritsuko, la pronuncia italiana fa sì che la u venga pronunciata. Nella pronuncia giapponese, però, le u diventano quasi mute, per cui i nomi vengono pronunciati come Aska, Ritzko, Saske (per chi fosse fan di Naruto). Nonostante quella sia effettivamente la corretta pronuncia, calata all’interno di un dialogo italiano stride da morire. La stessa pronuncia dei doppiatori sembra, nel migliore dei casi, uno scimmiottamento di quella originale. A loro discolpa non sono tenuti ad avere una perfetta pronuncia giapponese – mi accontenterei di quella inglese, senza mine N2 che diventano “mine Enciù“. La prima volta che ho sentito pronunciare il nome di Ritsuko ho avuto la stessa reazione della visione di Sain Seiya – Lost Canvas, quando ho sentito che “Watashi wa Piskes no Albafica” era stato tradotto con “Sono Albafica di Piskes.” Perché Pisces o Pesci vi faceva così cagare? Perché?! Perché Netflix continui a fare ‘ste puttanate?!
Andiamo a esaminare anche come, la scelta arbitraria del registro linguistico sbagliato vada a snaturare i personaggi stessi, portando giusto un paio di esempi (quelli che mi sono stati più in culo, ovviamente) presi dai primi episodi che ho guardato – perché sono sicura che guardando tutta l’intera serie avrei un colossale travaso di bile.

Il capitano Misato “Pochitto” Katsuragi.
Innanzitutto Katsuragi è un ufficiale dell’esercito poco adatto alla vita militare. E’ una donna che ha subito un forte trauma infantile seguito da una relazione tossica che nasconde anche un netto complesso di Elettra. Tutti i suoi disagi sono nascosti da un modo di fare solare, positivo, speranzoso, disinvolto, spesso canzonatorio, indisciplinato e malizioso. Ha un forte istinto materno nei confronti di Shinji e cerca di creare un legame emotivo con lui. E, soprattutto, è estremamente turbata dal suo ruolo di ufficiale dell’esercito che spesso evidenzia la necessità di affidarsi ad una certa dose di cinismo e freddezza nella gestione della guerra in corso, cosa che va in terribile conflitto con l’umana compassione che prova per la condizione dei piloti degli Eva.
In giapponese intercala spesso con una parola del dialetto di non mi ricordo quale regione giapponese, che Cannarsi ha adattato con “pochitto”. Ce n’era bisogno? No. Se è vero che nella lingua originale alcune sfumatura aiutano a caratterizzare il personaggio, è anche vero che “pochitto” è una scelta del cazzo. Sono sicura che, se proprio ci fosse stata la necessità di inserire una locuzione dialettale nei suoi dialoghi, con tutti i cazzo di dialetti che abbiamo, sarebbe stato facile trovare un’altra parola. Invece no, “pochitto” la fa sembrare solo una trentenne ritardata che cerca di fare la trasgry adeguandosi a un linguaggio ggggiovane, in un mondo di adolescenti che forse usavano quella parola quindici anni prima. Senza contare, poi, che quando Misato parla tra sé e sé utilizza un registro molto più alto di quando parla in pubblico, appigliandosi a locuzioni come “orpelli anacronistici”.
Non si può fare una scelta del genere e aspettarsi di non passare per dei coglioni di portata epocale.

Shinji “sali a bordo” Ikari
La cosa che mi ha fatto trasalire maggiormente è che Shinji, per tutto il tempo, chiama suo padre Gendo “papà”. Ora il cardine su cui si impernia tutta la psicologia di Shinji è quello di essere un bambino indesiderato, rifiutato dal padre che lo chiama solo quando ha bisogno di lui. Shinji e Gendo sono due entità emotivamente lontane, praticamente due estranei che condividono il sangue. Shinji non chiama Gendo “papà”. In giapponese lo chiama otoosan, che è il modo familiare formale di chiamare il padre all’interno della famiglia, ed in effetti può essere tradotto in entrambi i modi. Sta al traduttore capire, dato il contesto psicologico e la distanza effettiva tra i due personaggi, capire che “padre” sarebbe la versione adeguata, perché in italiano, che è la lingua in cui è adattato il dannato copione, “padre” da la corretta sfumatura alla relazione tra loro.

Grammatica e sintassi

Io sono un po’ nazi, lo so. Faccio i miei strafalcioni, per carità, spesso uso costrutti dialettali che non so nemmeno essere tali ma:

“L’obiettivo è tutt’ora illeso, attualmente è in invasione verso Neo-Tokyo 3.”

Perché. Perché usi “invasione” in qualità di sostantivo quando hai un pratico verbo, invadere, che tra l’altro vuole “avere” come ausiliare o “stare” se lo utilizzi al gerundio. Al massimo il maledetto obiettivo “è in avvicinamento a Neo-Tokyo 3”, “si sta dirigendo verso” se proprio ti piace il verbo essere e l’idea di un movimento progressivo di accorciamento delle distanze. Cosa diavolo dovrebbe significare “è in invasione”.

“E’ un vero peccato ma pare che il turno di voialtri non ci sarà.”

Ancora, la lingua italiana ci ha dotato di un meraviglioso aggettivo possessivo nonché pronome possessivo che riassume in un solo lemma quel “di voialtri”. Ed è vostro. Che in questa frase specifica andrebbe anteposto a turno. Era difficile? No. Mi da l’idea che Cannarsi riesca a padroneggiare un linguaggio forbito? No, mi da l’idea che Cannarsi sia un coglione come Fusaro.

M: “E’ andato tutto bene?”
S: “Già, anche se ho qualcosa che scricchiola dentro la bocca.”
M: “Il che è ottimo.”

Qui c’è proprio una sequenza logica che non torna.
La mina N2 è appena esplosa, Shinji e Misato hanno appena finito di fare il tagadà dentro l’auto di lei che si è capottata quelle cinque o sei volte. E’ ovvio che non sia andato tutto bene.
Al massimo la signorina Misato potrebbe chiedergli se, dopo l’evento potenzialmente mortale appena accaduto, il ragazzo stia bene, perché il ragazzo non è andato, al massimo è andato ovvero accaduto, svolto, l’evento della macchina che si cappotta. Il soggetto è Shinji, non il fatto appena avvenuto. Ma a lui sta bene e lamenta di “qualcosa che gli scricchiola in bocca”, qualsiasi cosa debba significare – dal “mi è entrata della sabbia in bocca” al “non so, non ho più i denti, faccia lei” – ma è stupendo vedere come Misato si rallegri della cosa, perché il fatto che Shinji abbia qualcosa che gli scricchiola in bocca, apparentemente, è ottimo.

M: “Ti ringrazio molto, mi hai salvato.”
S: “No, anzi, lo direi io signorina Katsuragi.”
M: “Misato, e tanto basta. E nuovamente molto piacere Ikari Shinji.”
S: “Certo.”

Cos- Direi: prima persona singolare condizionale presente vuole una congiunzione (se, qualora, talvolta quando. semmai). C’è un buco. Una mancanza. Anche lasciando implicita la congiunzione la frase non fila.
“No, anzi, dovrei (essere io a) dirlo io signorina Katsuragi. (Perché con il suo provvidenziale arrivo è stata lei a salvare me, e non il contrario).”
Se questo è il senso dell’affermazione “lo direi” cosa ci sta a fare lì. E poi perché “certo”?! Ha senso in italiano? No. Sarà anche letterale, ma non si risponde a “piacere” con “certo” in italiano. Spesso in coreano rispondo a “piacere” con “sì”, ma sarebbe comunque da tradurre con “piacere mio”.

“Ma questo ancora non può sapersi. Se non servirà a nulla sarà lo stesso che essere vano.”

Se non mi ricordo male si parla di un tentativo. E’ una frase bellissima. “Se (il tentativo) non servirà a nulla non sarà come se non fosse servito a niente.” Che dire, cosa posso aggiungere? Lapalissiano. Poteva essere reso in modo meno sgradevole? Certo. “Se non funzionerà allora (il tentativo) sarà stato inutile.” Fa un po’ meno schifo di ripetere la stessa cosa con due tempi verbali diversi.

Non so, potrei scriverci quasi una tesi su quanto faccia cagare questo adattamento.

Quando tenti di imitare “Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare.” ma il tuo stato di cane con la rogna non te lo permette.
RIP.

4 risposte a “La banalità del Male”

  1. Non conosco la storia che racconti, e non sono particolarmente addentro a queste tematiche (cartoni giapponesi ?) ma, la tua spiegazione sulla cattiva traduzione è esemplare, e, risponderti con la stessa padronanza di linguaggio che usi, è veramente difficile.

    Sono contento che esistano persone come te, che in qualche modo si tuffano all’interno per capire, per spiegare, per comprendere. Sai, l’argomento di cui fai l’analisi, alla fine è solo ‘roba per la massa’ che, francamente non capisce nulla sia di italiano che di altre lingue.
    Quindi, per la ‘massa’ va benissimo così !

    Basta rimanere imbambolati davanti allo schermo, e tutto va bene !

    Grandissimo il tuo inciso ‘…coglione come Fusaro’ ! Condivido in pieno ! Per me, oltretutto, cerca di dare spiegazioni ‘forbite e colte’ quando sarebbe il caso che tacesse.

    Va beh, leggerti è sempre un piacere, scrivi in modo corretto e simpatico e, anche senza conoscere gli argomenti, la lettura risulta scorrevole e accattivante.

    Scusami se il commento ha qualche imperfezione, ma colgo in te una grande preparazione e una grande passione della materia e, in qualche modo ho un pò di timore a scrivere !

    Spero di rileggerti perché in questi tempi oscuri c’è la necessità di una grande luce che dia un senso a questo enorme vuoto !

    Grazie !
    Ciao !
    Stefano.

    1. Grazie, mi lasci sempre dei bellissimi commenti! Quindi non avere paura a scrivere.
      Adattamento a parte, Evangelion è sempre uno di quegli anime che suggerisco a chi piace scervellarsi un po’.

      Grazie per i tuoi commenti!
      A presto, Barbara 🙂

      1. Conosci Chan-wook Park ? Ho visto due film spiazzanti ma nel contempo meravigliosi ! Stoker – Oldboy …. Se ti capita …

        Ciao !

      2. Aaaah Oldboy lo vidi un sacco di tempo fa, sinceramente dovrei riguardarlo. Stoker mi manca, lo cercherò!

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