Come farsi infinocchiare e accorgersene solo alla fine

Disclaimer:
Sono una k-pop fan da anni e guardo k-drama, j-drama e c-drama da ancora prima, cioè da EONI fa, quindi non venitemi a dire che sono biased perché il prodotto è coreano.
Se volete farlo lo stesso la porta dei commenti è aperta.
(E io saprò che non avete letto questo)

Tu ti fidi ancora delle persone?

OH Il-Nam

Io no.
Nel dubbio la risposta è “Io no”.
A parte questo, però, c’è un motivo molto preciso per cui ho deciso di parlare di Squid Game, a dire il vero ce n’è una grande varietà. Partiamo dalla trama del drama, però.

Corea del Sud, 456 persone in gravi difficoltà economiche accettano di partecipare ad un gioco che potrebbe dare una svolta alle loro vite. Il premio, infatti, è di 45 miliardi e 600 mila won (circa 33milioni di €). Non sanno che è un gioco mortale, ma quando lo scoprono decidono che il premio vale il rischio.

La trama è indubbiamente accattivante – il gioco al massacro fa sempre presa – il trailer forse lo è anche di più: l’atmosfera cupa data dalla fotografia stride terribilmente e studiatamente con i temi infantili proposti – i colori vivaci delle tute di chi gestisce il gioco, le felpe di acetato, le musichette che ricordano l’infanzia.

Che fai, non lo guardi?

Lo guardi, certo.

Squid Game sta piacendo a tutti, in tutto il mondo – dove con tutti intendo “la maggioranza del pubblico”, chiaramente. Ha fatto il boom, come la Casa di Carta, ma avendo – per ora – un’unica stagione non ha ancora stufato.

Mi è piaciuto?
Sì.
Ma anche no.

E’ un prodotto di ottima qualità a livello di capacità attoriali, di fotografia, di direzione del montaggio e di regia ed ha degli screenwriter geniali, che è il motivo per cui l’ho visto fino alla fine, ma storcendo il naso.
Gli screenwriter e il regista fanno la stragrande maggioranza del lavoro a livello di “fortuna globale” del prodotto che, non essendo nemmeno doppiato, è riuscito a superare la barriera linguistica e farsi apprezzare comunque. La grande maggioranza del pubblico, ancora adesso – e no “io e i miei amici guardiamo solo film in lingua originale” NON E’ un dato statistico – è molto reticente a guardare film sottotitolati anziché doppiati. Soprattutto film di lingua asiatica.

Ci sono diversi punti di cui voglio parlare per spiegare perché ritengo questo drama una sorta di presa per il culo (da elogiare perché studiata benissimo).

Il messaggio

Come in quasi tutte le opere, anche questo drama ha un messaggio di fondo su cui si svolge la narrazione principale.
In soldoni prende un tema sociale attualissimo – l’indebitamento, la precarietà economica e l’aumento della soglia di povertà – e lo usa come base su cui fondare una critica sociale abbastanza evidente sulla vecchia massima che “i soldi non fanno la felicità”.
Ci butta dentro anche del sanissimo e condivisibilissimo cinismo che ritrae “la gente” come un’entità avida, affamata, egoista, amorale e disposta a qualsiasi cosa pur di ottenere qualcosa, anche a uccidere.
A ben guardare è all’incirca lo stesso messaggio che sta alla base di “Parasite” – altro prodotto coreano che consiglio di guardare perché è proprio bello (ma per davvero stavolta) – ed è gestito circa con lo stesso cinismo.

Il tema è molto attuale, che non significa però che sia banale, è questo mi è anche stato bene, nel complesso, ma il resto… eh.

LA Sceneggiatura

Non è un caso che io abbia usato “LA” e la “S” maiuscola. Quella di Squid Game è letteralmente LA Sceneggiatura.

Fin dal primo momento lo spettatore è intrappolato nel cliché, ne è letteralmente irretito perché, a meno che non se ne accorga immediatamente e decida che “no, ho visto abbastanza” come mi successe con Lost – 8 stagioni di soldi buttati al vento, davvero – allora non si può fare altro che arrivare alla fine della nona puntata.

Abbiamo fin da subito un protagonista archetipico, ovvero lo sfigato: è un padre fallito di mezz’età con una dipendenza per il gioco d’azzardo, è divorziato e vive con la madre anziana che sputa sangue per riuscire a mantenerlo perché, in fin dei conti, è pur sempre suo figlio. Ci sta simpatico? No. Non può stare simpatico, ma ecco che gli sceneggiatori ce lo fanno stare simpatico a forza perché, nonostante tutti i suoi difetti, alla fine è il classico “stupido ma buono”.

Il Turning Point è l’incontro tra il nostro protagonista – Seong Gi-Hun – e un misterioso figuro che ha fatto letteralmente urlare tutti gli appassionati di drama, perché altri non è che l’attore Gong Yoo, l’indimenticabile Goblin di Sseulsseulhago challanhasin – Dokkaebi, un drama del 2016 che ormai è diventato iconico.
Il misterioso figuro invita Seong Gi-Hun a fare con lui una partita a ddakji, un gioco in cui bisogna far rovesciare il ddakji che è in terra – un foglio ripiegato in un modo particolare – colpendolo con il proprio. Ogni volta che Gi-Hun vince, il figuro gli darà 100.000 won, se perde lo mena. E Gi-Hun accetta, ovviamente.
Riesce a vincere una sola partita e guadagna 100.000 won, un sacco di lividi e un biglietto da visita per partecipare a un gioco dal premio miliardario.

Da qui in poi in realtà i colpi di scena sono finiti perché non c’è una singola azione o scena che non sia telefonata ma da lontanissimo. Questo è il motivo per cui ho fatto così tanta fatica ad arrivare alla fine della nona puntata e questo è anche il motivo per cui sta piacendo a tutti.
Squid Game è l’ “Avatar” delle serie tv, con una sceneggiatura studiata apposta per piacere a tutti, non c’è mai un qualcosa che ti faccia dire “Oh, I didn’t see it coming”, non ti da nemmeno l’illusione che ci sia. Tutto è perfettamente in linea e si sussegue in una lunga sequela di cliché perfettamente funzionanti.

L’organizzatore degli Squid Game si capisce circa al terzo episodio, chi sta dietro la figura del Frontman – l’uomo travestito che gestisce i giochi – è ovvia nell’esatto momento in cui viene coinvolto l’unico elemento esterno che non è inciampato nel gioco a causa della partita a ddakji.

Il tutto è farcito da una serie di personaggi collaterali – che tu spettatore SAI che moriranno e più o meno sai anche in che ordine. Per la maggior parte hanno storie che servono solo a farti empatizzare con il personaggio secondario e capire perché è arrivato lì, altre invece – e nello specifico due a dire il vero – vengono semplicemente buttate nel mezzo della trama e… e niente. Si perdono. Neanche te ne accorgi che si perdono, focalizzato come sei nel seguire lo straziamento emotivo del protagonista.

Nel complesso è un ottimo prodotto: un ottimo prodotto che ti infinocchia. Vale la pena vederlo perché è complessivamente fatto bene, ma non lo definirei la genialata del millennio come vuole la critica in questi giorni.


*Da qui in poi iniziano gli spoiler*

Dopo il primo gioco, “Un, due, tre, stella!”, è già chiaro come procederanno i rapporti tra i personaggi principali. La proposta di far cessare il gioco, accolta in modo favorevole, è solo una di quelle cose che ti fa dire “torneranno tutti” perché il messaggio è quello: la vita di chi partecipa agli Squid Game è talmente misera che tanto vale morire provandoci che vivere senza farlo.

In questa “pausa” dagli Squid Game si inserisce un personaggio nuovo: il poliziotto – per cui ho una crush, tra l’altro. Ovviamente il poliziotto ci inciampa per caso, ma è sempre un caso-destino perché il poliziotto ha perso suo fratello e teme che sia finito intrappolato nella rete. Scopre cosa sono i giochi e teme che il fratello sia morto giocando.
Giuro che se fosse morto nella selva degli Unnamed di “Un, due, tre, stella!” lo avrei preferito. Sarebbe stata una fine stronza che avrebbe dato al poliziotto un motivo per fermare i giochi e fare qualcosa, invece già sapevo che ci sarebbe stato il momento catartico di confronto col Frontman.

E infatti…

E l’altra cosa che so già è che, visto che la storyline del Frontman e del poliziotto si perde nel niente, quei geni degli sceneggiatori si sono tenuti l’aggancio narrativo per ritirarla fuori nella Stagione 2. In teoria il poliziotto è morto, in pratica il Frontman gli ha sparato ad una spalla e ho visto resurrezioni ben peggiori di questa.
Previsione S2: in realtà il Frontman ha fatto ripescare il fratello dalle acque attorno all’isola e lo ha tratto in salvo, preso da una crisi morale – di cui vediamo i prodromi in S1 – lo aiuterà a sventare altre stagioni dei giochi.

Altra meraviglia delle meraviglie è stato Oh Il Nam, il vecchiettino con il tumore al cervello che alterna momenti di lucidità ad altri di fragile senilità – tutti i momenti che per lui sono iper-convenienti.
Oh Il Nam muore nel gioco delle biglie ma nessuno ce lo fa vedere. Gli sparano ma lo fanno dietro un muro, quindi lo spettatore non lo vede morire come fa con tutti gli altri giocatori. Che non sia morto è iper-telefonato, che sia l’uomo dietro l’organizzazione dei giochi, a quel punto, lo è ancora di più.
Per un attimo ho sperato intensamente che tutte le cose che avevano messo fossero uno specchietto per le allodole, che il vecchio maledetto non fosse davvero l’organizzatore, che mi stupissero con un colpo di scena.
Invece no, era proprio lui.
Anche l’atto finale, l’ultima conversazione che ha con Gi-Hun, a suo modo è geniale: non ci dice chi è, ci dice che era una specie di strozzino ed è proprio lui a dare il messaggio – contorto certo – de “i soldi non fanno la felicità”, ma per il resto non dice altro su sé stesso, lasciando l’alone di mistero che crea quella sospensione di incredulità a livello del “ok, stacce, aveva i soldi per farlo e non mi interessa sapere perché”.

Solo che lui muore e noi sappiamo che i giochi procedono, perché Gi-Hun rinuncia a raggiungere la figlia in America dopo aver visto il losco figuro del ddakji che gioca con uno sconosciuto e si unisce di nuovo agli Squid Game.

La risoluzione della sotto-trama del commercio segreto di organi mi ha lasciata sinceramente delusa. E’ stata buttata nel mezzo, ed era anche interessante, ma è stata droppata così, con la morte del chirurgo e dei tizi mascherati che la gestivano dopo che il Frontman li ha scoperti.
E dico proprio droppata perché non ha una vera conclusione: insomma sti organi li avranno venduti a qualcuno di esterno, non collegato al Frontman. E anche questo può essere un aggancio per S2: non sappiamo chi fossero i compratori, potrebbe essere qualcuno che non ha idea da dove arrivassero quegli organi, ma potrebbe anche essere qualcuno che faceva parte dei VIP, nonché una delle leve della redenzione del Frontman – che sembrava così fissato sul fatto che i giochi dovessero essere regolari e privi di agevolazioni esterne di raccomandazione.

In conclusione:
sinceramente spero che ci lascino nel dubbio
e che la seconda stagione non la facciano
perché la prima mi è bastata.


13 risposte a “Squid Game – tra Calamari e Cliché”

  1. Sei sempre molto critica e lucida nelle tue descrizioni ! Non guardo le serie TV e, men che meno Netflix le cui proposte le ritengo troppo commerciali. Invece ho visto già tre volte Parasite ed è un grande film !
    Purtroppo ci rifilano tanta spazzatura ben confezionata, più per monetizzare che per creare un certo livello ‘intellettuale’, lasciami passare il termine forse esagerato, per interessare il pubblico.

    Ciao. (Ti leggo sempre volentieri)

    1. Grazie mille! Anche io Parasite l’ho visto tre o quattro volte e l’ho trovato davvero bello. Mi spiace che Squid Game sia stato gestito in quel modo, perché ha delle scelte di regia davvero belle, ma si nota davvero tanto che è un prodotto fatto e pensato apposta per fare il botto e cavalcare l’onda dell’interesse americano per la Corea del Sud, che dato il momento di estremo interesse – anche grazie ai BTS – è una scelta capibile, visto il poco velato razzismo dell’industria americana verso le produzioni “non-US”. Però aveva del potenziale geniale che è stato spazzato via dalla scelta di avere delle scene così telefonate.

    2. E grazie mille per tutti i commenti che mi lasci sempre! Li leggo sempre volentieri!

  2. A proposito di drama diventati iconici, te lo ricordi Beverly Hills 90210?

    1. Beverly Hills 90210… ricordo che avevo attaccato le figurine dei protagonisti al cassettone e che c’era una tizia bionda, ma non ricordo né il nome dei personaggi né i loro volti! Mi ricordo solo Donna!

  3. Addirittura LA sceneggiatura?!

    1. Beh, quel LA non è certo usato in positivo (a meno che tu non ti sia fermato lì)

      1. Buongiorno Consuelo, ammetto che a volte i miei commenti lapidari danno fastidio e ovviamente non rendono merito a dei post molto belli ma soprattutto articolati come il tuo. Si avevo compreso il tuo intento, volevo dire con il mio, che di sceneggiature piene di telefonate, ce ne sono a iosa. Ciò nonostante rileggendo e vedendo che sulle piattaforme social che ho girovagato, su questa serie, l’unico, ripeto l’unico, commento relativamente negativo è solo il tuo (voglio sperare ce ne siano altri, altrimenti vuol dire che siamo tutti veramente omologati sia tra coloro che l’hanno apprezzato, sia tra coloro che l’hanno disprezzata, preferendo stare zitti per non passare per degli sfigati retro’) alla fine sia giusto usare le maiuscole per l’articolo e per la prima lettera del sostantivo. Scusa ancora per prima e spero di non essermi incartato troppo nella spiegazione. Buona giornata. Fritz

      2. In realtà non mi ha propriamente infastidita, ma era un po’ scarno per riuscire a capire tutto quello che intendevi.
        Certo, è vero, di sceneggiature telefonate ce ne sono a bizzeffe, ma questa mi è sembrata particolarmente telefonata, nonostante abbiano cercato di mascherare la cosa con soluzioni registiche da specchietto per le allodole.
        E ha funzionato, è questo che mi ha lasciata sconvolta: che basti così poco. Un po’ come successe con Avatar.
        Figurati, non serve che ti scusi, anzi scusa se ho risposto dopo un mese!

      3. Mi ha fatto piacere questa tua risposta. Ho trovato una blogger che ha palesato in un post e con un commento al suo post, quello che avevo scritto anche io. Un barlume di speranza in tanta omologazione.

      4. Dimenticavo: auguri di buon anno.. la cosa più importante;-)

      5. Tanti auguri di buon anno anche a te! 🙂

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